Spazio, scenografia, disegno
Francisco Martínez Mindeguía

1. John Soane, prospetto principale della casa dell'architetto a Pitzhanger Manor

Arquitettura e teatro

In occasione di una delle conferenze tenute per la Royal Academy, John Soane scrisse che "la facciata di un edificio è come il prologo di un'opera teatrale; ci prepara a ciò che dobbiamo aspettarci. Se l'esterno promette più di quello che si ritroverà all'interno, si rimane delusi. La trama ha inizio nel primo atto e si sviluppa negli atti successivi attraverso un intreccio basato su carattere, adeguatezza distributiva, eleganza e correttezza della componente ornamentale, e, in definitiva, dà vita a un insieme completo di distribuzione, decorazione e costruzione»"1. Il parallelo con il teatro aiutava a trasmettere l'idea che un edificioè un'entità unitaria e complessa, per conoscere la quale non ci si può limitare alla facciata, ma bisogna muoversi nell'interno, considerando la sequenza tra le parti e correlando il loro diverso "carattere" (fig. 1)2.

In questo, Soane dava seguito a quanto anticipato da Germain Boffrand nel suo Livre d'architecture: "L'architettura […] riunisce diversi generi, che, per così dire, danno vita alle parti che la compongono grazie ai caratteri che trasmette. Attraverso il suo aspetto esteriore, l'edificio comunica, come avviene per il teatro, se si ci si trova di fronte a una scena pastorale o tragica, a un tempio o a un palazzo, a un edificio pubblico destinato a una determinata funzione o a una abitazione particolare. Attraverso la loro disposizione, la loro struttura, la loro decorazione, questi edifici devono rivelare agli spettatori la loro funzione; e se non lo fanno, peccano contro l'espressione e non sono quello che dovrebbero essere" (Boffrand, 1745, p.16). Boffrand introduceva così il tema del "carattere" che un edificio può e deve possedere, quasi si trattasse del personaggio di un'opera teatrale: e, come un personaggio, l'edificio deve essere capace di «rivelare allo spettatore la sua personalità" (Van Eck, 2007, p. 192). Nel 1788 Quatremère de Quincy affermava che un edificio può avere "carattere", "un carattere", o "il suo carattere" (Quatrèmere de Quincy, 1788, término "Caractère"). Quest'ultima opzione consisteva nell' "attribuire a ogni edificio un modo di essere talmente appropriato alla sua natura o alla sua
funzione da rendere possibile leggere attraverso caratteri molto evidenti sia ciò che è, sia ciò che non può essere" (Quatrèmere de Quincy, 1832, término "Caractère"). Quatremère de Quincy arrivava a paragonare l'edificio "a una sorta di spettacolo in cui le scene sembrano cambiare sia a seconda del punto di osservazione, sia con la gradazione della luce, che penetra diversamente tra i pieni e i vuoti a seconda delle ore del giorno" (Quatremere de Quincy, 1832, término "Effet", p. 559).

Riconoscere il "carattere" di un edificio significava attribuirgli qualità umane, che lo spettatore avrebbe potuto riconoscere sulla base delle sue stesse esperienze e dei suoi ricordi. L'associazione di queste immagini e la loro relazione nello spazio e nel tempo costituivano la base del processo che permetteva di accostare edificio e azione teatrale. Significava comprendere che l'architettura, come il teatro, è un'arte che si articola nel tempo, il tempo in cui si sviluppa la trama o in cui ci si sposta all'interno dell'edificio: in entrambi i casi, si presuppone che lo spettatore sia capace di comprendere di cosa si sta parlando o di cogliere le relazioni spaziali della composizione (Van Eck, 2007, p.128). Si trattava comunque di valutazioni soggettive, in cui l'immaginazione assumeva un'importanza maggiore rispetto alla ragione.

In una generalizzazione che rimandava al tema classico del theatrum mundi, Charles Garnier arrivò a dire che «tutto quello che succede nel mondo non è altro che teatro e rappresentazione […] Il mondo intero si compone di scene continue e in successione, comiche o drammatiche, e non si può fare né dire nulla che non coinvolga attori osservati da spettatori" (Garnier, 1871, p.2). Questo pensiero si ricollegava a un'idea già avanzata da Platone e, anche, da Seneca nelle Epistulae morales ad Lucilium e da Epitteto nel suo Enchiridion, un'idea riproposta in seguito da Erasmo da Rotterdam nell'Elogio della pazzia (Vives-Ferrándiz, 2011, pp.180-182) e che, nel XVII secolo, era diventata un modello per comprendere l'esistenza dell'uomo. Fu però nel XVIII secolo che il teatro divenne un modello di riferimento per la teoria e l'estetica dell'arte. Fu allora che il teorico vide se stesso come uno "spettatore" che osserva il mondo come si osserva un teatro3, consapevole della soggettività della sua visione personale. Alla fine del XVIII secolo il riferimento al teatro e il concetto di carattere applicati all'architettura potevano essere ritrovati nei parchi di William Kent (fig. 2)4,
 

2. William Kent, proposta per il pendio alberato di Chatsworth

nelle fantasie di Piranesi (fig. 3)5, nel concetto di "luce misteriosa" di Nicolas Le Camus de Mézières o nell'architettura delle ombre di Étienne-Louis Boullée.
 

3. Giovanni Battista Piranesi, "Rovine d'una Galleria di Statue nella Villa Adriana a Tivoli".

Termini come "teatro", "scenario", "decorazione", o "rappresentazione", già impiegati nei testi di giardinaggio e paesaggio della metà del secolo, in particolare nelle discussioni intorno ai concetti di sublime o di pittoresco, furono estesi agli studi estetici sulla città e sugli edifici, facendo del teatro un modello di riferimento per la riflessione teorica. Il parallelo con il teatro permetteva di leggere l'architettura come "esperienza", unità tra edificio e contesto, che metteva in primo piano l'esperienza soggettiva, le sensazioni e la percezione. Si tratta di un'interpretazione che presupponeva l'intervento attivo di immagini legate a esperienze precedenti dell'osservatore che, per essere portata a compimento, necessitava di un certo lasso di tempo. L'obiettivo era quello di "riuscire a vedere", cosa che gli architetti paesaggisti ricercavano nei quadri di Claude Lorrain e che Uvedale Pride apprezzava nei pittori: «capaci di vedere nella natura quello che gli uomini di solito non vedono, […] di riconoscere e sentire gli effetti e le combinazioni di forma, colore, luce e ombra" (Price, 1810, p. xi-xv).

Teatroe y scenografia

Anche se, in un modo o nell'altro, il ricorso a questo parallelo non è mai venuto meno,da alcuni decenni il ricorso all'immagine teatrale ha ripreso forza a causa di un rinnovato interesse per la retorica nell'arte, la comunicazione, la percezione, la sperimentazione, con contributi come quelli di Michael Fried, Richard Sennet, Helene Furján, Charles Bernstein, Richard Wollheim, Karsten Harries, Jonathan Crary, Harry Mallgrave, Josette Féral e Ronald Bermingham, Tracy Davis e Thomas Postlewat, Gevork Hartoonian, Louise Pelletier o, più recentemente, Caroline van Eck6.

A ben vedere, nessuno di questi lavori considera il teatro come produzione artistica. Molti di questi studi sono incentrati sulla pittura o sulla scultura, in molti l'interesse è rivolto piuttosto alla filosofia o alla filologia che non all'architettura, e in alcuni, anche nei più antichi, l'analogia teatrale assume una connotazione negativa. In questi studi il ricorso al teatro si basa sul fatto che questo offre un'immagine valida per riflettere intorno al vedere e sperimentare l'arte o l'architettura. In molti di questi contributi, il termine "teatrale"è usato meccanicamente, senza fornire spiegazioni, con generalizzazioni troppo ampie che non lasciano spazio alla peculiarità dell'architettura. L'abbondanza di studi e la diversità degli approcci è sfociata in una situazione di ambiguità concettuale nella quale tutto può essere teatrale e il teatro stesso potrebbe non esserlo (Eck, 2011, p.13).

L'analogia con il teatro è utile, ma bisogna essere consapevoli dell'errore che deriva da un suo uso generalizzato in ambito architettonico. Perché si possa parlare di teatro è necessario che ci sia un'azione compiuta per essere vista, un attore e almeno uno spettatore. Nell'interpretazione più efficace offerta da Féral e Bermingham (2002, p. 95-97), la possibilità di confronto
con il teatro o con la teatralità nasce dallo«sguardo attivo» dello spettatore e dall'esistenza di uno di un spazio esterno a lui, in cui si muove l'attore. In quest'ottica, un edificio non è un teatro né un'azione teatrale, ma solo lo spazio, la scenografia di una possibile azione teatrale alla quale il fruitore darà vita secondo quanto previsto dal progetto. Pertanto, sarebbe più utile sostituire il termine "teatro" con la definizione di "scenografia".

In questo panorama, cos'è esattamente la scenografia, in relazione all'architettura? Innanzitutto la scenografia è uno spazio con caratteristiche peculiari, nel quale le parti e le loro relazioni indicano (orientano o suggeriscono) un contenuto simbolico (un significato) e il ruolo che esse possono svolgere in una determinata azione. Inoltre, una scenografia è uno spazio orientato, nel quale esiste un punto (di vista) dal quale la percezione di questi significati si fa più chiara e un punto principale sul quale si concentra ampia parte del contenuto simbolico. Potremmo dire che la scena è la struttura di una cerimonia, che predispone l'esperienza dell'osservatore: in questo senso è anche uno spazio didattico capace di guidare l'attività che vi si deve svolgere7.

Scenografia e disegno

Una chiesa, una sala da concerti, un'aula magna, un campo da calcio possiedono una scenografia chiara, che permette di capire dove andranno a collocarsi gli attori e il pubblico, come si svolgerà l'azione e di quale tipo di azione si tratta. Nell'esempio descritto da Soane, la scena richiedeva lo spostamento del visitatore lungo il percorso stabilito dall'architetto in modo da permettergli di scoprire i punti di vista delle "differenti scene". Un altro esempio di quanto detto lo si ritro-va nel lavoro di Auguste Choisy, che interpreta lo spazio dell'Acropoli di Atene come un paesaggio organizzato, come un'opera teatrale (Choisy, 1899, p. 413-420), in una serie di "quadri"8 deter-minati da una successione di punti vista e dalla "percezione" che da questi punti di vista si ha dei diversi edifici9. Choisy scopriva così, nell'Acropoli di Atene, la struttura sce-nica di un'azione teatrale, di un'esperienza organizzata attraverso quattro «tableaux» o «premières impressions» che articolavano un percorso cerimoniale. Egli intendeva dimo-strare che il disordine apparente dell'Acropoli rispondeva a una logica paesaggista10: la disposizione obliqua dei templi, le relazioni tra i templi stessi e la loro apparente incoerenza compositiva costituiscono la scena idonea allo svolgimento di una cerimonia.

Choisy ha illustrato le sue analisi con quattro disegni (figg. 4, 5, 6, 7)11, he rappresentano quattro "tableau", ciascuno composto da una prospettiva e da un diagramma planimetrico che mostra la posizione del punto di vista e o schema del ragionamento teorico.
 

 
4. A. Choisy, Le tableau des Propylées.
 
  5. A. Choisy, Premier aspect de la plate-forme: la Minerve Promachos.
 
 
6. A. Choisy, Le Parthénon et ses vues d'angle.
 
  7. A. Choisy, Premier aspect de l'Erechtheion.
 

  Più tardi, nel 1938, partendo da questo studio e dalla sequenza proposta da Choisy, il regista cinematografico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn ha avvalorato questa interpretazione affermando che l'Acropoli di Atene era «una delle più antiche opere cinematografiche" (Eisenstein, 1989, p. 117), e ha illustrato questa sua idea con una composizione di quattro scene in sequenza che rein-terpretano i quattro disegni precedenti (fig. 8)12: sarebbe stato "diffícile immaginare una structura più precisa, più elegante e più efficace di questa sequenza" (Eisenstein, 1989, p. 120). I disegni di Choisy mostravano dunque i punti salienti, i nodi di questa organizzazione teatrale; non pretendevano di sostituire l'immagine consolidata della planimetria dell'Acropoli ma, una volta pubblicati, rendevano la sola lettura planimetrica del tutto insufficiente per comprendere a pieno la forma.
8. S.M. Eisenstein, montaggio della sequenza delle quattro scene..
 
   

Disegn e scenografia

Un disegno può rivelare una scenografia, co-me avviene nel caso di Choisy, ma può anche essere letto come se descrivesse una scena, mostrandola dal punto di vista dell'osserva-tore e svelando alcuni aspetti che il disegno stesso cela al suo interno. Un esempio di quanto detto può essere individuato nel di-segno eseguito da Richard Neutra per spie-gare il funzionamento di alcune aule della Emerson Junior High School (Los Angeles, 1938) (fig. 9)13.
 

9. R. Neutra, aula della Emerson Junior High School di Los Angeles.

L'immagine mostra un'attività che è iniziata all'interno dell'aula, come indicano le tracce rimaste sul pavimento e su alcuni tavoli; a questa fase in aula ne è senz'altro seguita un'altra, testimoniata dalle sedie disposte lungo un arco. L'attività prosegue ora in giardino, sotto un albero, con gli alunni riuniti disordinatamente intorno al professore. È possibile ricostruire la sequenza a partire dalle tracce rimaste sul pavimento e, soprattutto, dalla disposizione delle sedie lungo un arco che raccorda quelli che possono essere interpretati come gli estremi di questa attività.

Ma il disegno di Neutra rivela molto altro, se si coglie la significativa peculiarità della pavimentazione dell'aula, il cui perimetro si confonde con la delimitazione della parete stessa, confondendosi in un'unica linea. Si tratta di una prospettiva con punto di vista collocato sul piano della parete e fuori dell'aula, che non pretende di rappresentare quello che un osservatore vedrebbe se si trovasse all'interno dell'aula. La scelta del punto di vista potrebbe corrispondere alla predilezione per le viste insolite sperimentata da Lásló Moholy-Nagy o da Alexander Rodchenko, ma in ogni caso costituisce un passaggio verso l'astrazione che si discosta dalla tradizionale simulazione prospettica e porta a pensare che l'obiettivo non sia quello di realizzare una prospettiva convenzionale.

Neutra ricorre a questo disegno per descrivere il metodo pedagogico di Maria Montessori che egli voleva adottare in alcune aule della scuola, proprio come aveva già fatto nella Corona Avenue School (Los Angeles, 1935). In quel caso Neutra aveva illustrato il metodo con un disegno quasi diagrammatico (fig. 10)14 che mostrava tutte le possibiliinterazioni dentro l'aula e tra lo spaziointernoeil giardino.
 

10. R. Neutra, progetto di aula di insegnamento attivo.

Nel disegno della Emerson Junior High School Neutra ha ridotto queste opzioni e le ha montate in un'unica sequenza. Anche se in apparenza molto diverso, questo disegno continua a essere un diagramma, nel quale la sintesi è lo strumento scelto per conferire maggiore forza alla comunicazione: è proprio il livello di astrazione presente nel disegno che induce a interpretarlo più come un discorso concettuale che come una scena.

Più sofisticato è un altro disegno di Heinri-ch Tessenow che mostra una stanza all'inerno di una abitazione progettata nel 1908, pubblicato su Der Wohnhausbau nel 190915 (fig. 11).

11. H. Tessenow, Stanza di soggiorno.

Si tratta di un interno apparentemente semplice in cui appare l'angolo della stanza con rivestimenti in tappezzeria, con una finestra e pochi mobili. Ciononostante, il disegno appare molto dettagliato, prezioso, anche se niente di particolare sembra giustificare un tale sforzo. Il disordine presente al centro del disegno lascia pensare che qualcuno stesse cucendo, forse rammendando abiti usurati, e che probabilmente era con un bambino; i due sono usciti dalla scena e hanno lasciato le cose così come si trovavano: la sedia è scostata dal tavolo, gli strumenti per il cucito non sono stati riordinati, il bambolotto si trova sul bordo del tavolo e la finestra è aperta, come se fosse stata aperta per seguire il bambino che giocava in giardino.

Non sembra esserci altro. Si tratta di azioni tipiche dell'ambito domestico, che non rientrano tra i temi consueti del disegno di architettura. Ma è l'ingiustificata sproporzione del dettaglio che lascia pensare che l'obiettivo di Tessenow fosse quello di richiamare l'attenzione sul valore di queste attività quotidiane semplici e prive di ogni trascendenza, che l'architetto individua come lo scopo principale di una abitazione. Con ciò, egli propone di elevare la vita domestica al rango di obiettivo fondamentale del progetto stesso. Il libro in cui il disegno è stato pubblicato raccoglie la ricerca di Tessenow sul tema della piccola abitazione economica per i lavoratori, in sintonia con le idee di Hermann Muthesius o John Ruskin, orientate alla ricerca di un modo di vivere spiritualmente più elevato: si tratta di una vera e propria filosofia dello spazio domestico (De Michelis, 1991, p. 44).

La mancanza di un reale rapporto tra lo scarso valore dello spazio rappresentato e l'eccessivo livello di dettaglio è l'elemento che richiama l'attenzione di chi osserva il disegno e che induce a riflettere per comprendere il significato dei piccoli spostamenti degli oggetti presenti al centro dell'immagine. Si tratta della stessa questione sulla quale Marco De Michelis richiamava l'attenzione: "la meticolosa propensione per i particolari apparentemente più insignificanti che definisce l'universo abitativo" de Tessenow, "sempre così assurdamente precisi" (De Michelis, 1982, p.36 y 37). Qualcosa di simile anche allo «sconcerto» che, nel caso dell'architettura di Raffaello Sanzio, "l'apparente contraddizione tra immagine e struttura induce sullo spettatore" e che, secondo Stefano Ray, aveva lo scopo di "indurre lo spettatore a una ulteriore riflessione"16.

Conclusioni

L'associazione tra il concetto di scenografia e quello di disegno risulta più chiara se si considera l'importanza che, nella percezione o nella lettura di un grafico, assume la posizione stessa del disegno rispetto ai margini del foglio. Ciò appare ancora più evidente quando su un unico foglio compaiono più disegni, in quanto, in questo caso, intervengono anche le relazioni tra i singoli disegni, l'ordine in cui si presentano, la relazione tra pesi e misure, il modo in cui questi veicolano le informazioni sul progetto, il carattere definito dall'insieme o la qualità estetica che ne deriva. Che si tratti di teatro, teatralità, scenografia, paesaggio pittoresco, piano cinematografico o dialettica retorica, tutte queste immagini confermano l'importanza che l'insieme riveste rispetto al significato dell'elemento predominante. Questo perché, come sosteneva Bernini, «le cose non ci appaiono solamente per quello che sono, ma in rapporto a ciò che è loro accanto, rapporto che cambia il loro modo di apparire»: ciò portava Bernini ad attribuire importanza al fatto di«avere l'occhio esercitato per giudicare bene dei contrapposti" (Fréart, 1885, p. 114), poiché si tratta di una lettura che deriva dall'effetto che produce nell'osservatore. Sono queste relazioni che ci permettono di riconoscere i limiti dello spazio grafico che contiene il disegno e le contraddizioni o le ambiguità che richiedono un approfondimento della riflessione. Comprendere che un disegno termina con i margini del foglio vuol dire accettare l'importanza della composizione, della relazione tra le parti. È lo sguardo attivo dell'osservatore ciò che permetterà di cogliere il senso della composizione, mostrando che l'informazione si acquisisce in modo continuo e progressivo e che il risultato è nell'unità che deriva da quella stessa qualità estetica che può essere riconosciuta nel progetto.

 

Notas:

  1. ↑Watkin, 1996, p.188: appunti preparatori per la sua quinta conferenza, scritta tra il 1810 e il 1812.
  2. A proposito della facciata della sua casa a Pitzhanger Manor, Soane disse che «may thus be considered as a picture, a sort of portrait»; si tratta, dunque, di un autoritratto: Watkin 1996, p. 188. Immagine concessa da © Sir John Soane's Museum, Londres; Foto: Hugh Kelly.
  3. ↑Joseph Addison, nel primo numero di The Spectator (1 marzo 1711), diceva: "Thus I live in the World, rather as a Spectator of Mankind, than as one of the Species; […] I have acted in all the parts of my Life as a Looker-on, which is the Character I intend to preserve in this Paper" (Addison, 1711, p. 2).
  4. William Kent, proposta per il pendio alberato di Chatsworth (1735-1740 circa), pubblicato in Hunt, 1987, p.118, cat. 17.
  5. Giambattista Piranesi, "Rovine d'una Galleria di Statue nella Villa Adriana a Tivoli", 1770, pubblicato in, 1974, lam. 136.
  6. Gli autori sono citati nell'ordine cronologico della prima pubblicazione: Fried, M., 1968. Art and Objecthood. Artforum, 5, pp. 12-23; Fried, M., 1970. Thomas Couture and the Theatricalization of Action in 19th Century French Painting. Artforum, 8 (10), pp. 42-46; Fried, M., 1980. Absorption and Theatricality: Painting and Beholder in the Age of Diderot. Berkeley : University of California; Sennet, R., 1974. The Fall of Public Man. Cambridge : Cambridge University; Furján, H., 1983. Sir John Soane's Spectacular Theatre, AA Files, 47, pp. 12-22; Furján, H., 1997. The Specular Spectacle of the house of the Collector, Assemblage, 34, pp. 56-91; Furján, H., 2004. Scenes from a Museum. Grey Room, 17, 2004, pp.64-81; Furján, H., 2011. Glorious Visions: John Soane's Spectacular Theater. London : Routledge; Bernstein, C., 1986. On Theatricality. En Content's Dream: Essays 1975-1984. Los Angeles: Sun & Moon Press, pp. 199-207; Wollheim, R., 1987. Painting as an Art. London : Thames and Hudson; Harries, K., 1990. Theatricality and Re-Presentation. Perspecta, 26, pp.21-40; Crary, J., 1990. Techniques of the Observer: On Vision and Modernity in the Nineteenth Century. Cambridge, Mass.: MIT Press; Mallgrave, H., 1996. Gottfried Semper : Architect of the Nineteenth Century : a personal and intellectual biography. New Haven : Yale University Press; Féral, J., y Bermingham, R. P., 2002. Theatricality: The Specificity of Theatrical Language. Substance, 31(2-3), pp. 94-108; Davis, T., y Postlewat, T., 2003. Theatricality. Cambridge: Cambridge University; Hartoonian, G., 2003. Gottfried Semper: the Structure of Theatricality. Art Criticism, 18(2), pp.6-21; Hartoonian, G., 2006. Crisis of the object : the architecture of theatricality. London : Routledge; Hartoonian, G., 2012, Architecture and Spectacle: A critique. Farnham (GB): Ashgate, 2012; Pelletier, L., 2006. Architecture in Words: Theatre, language and the sensuous space of architecture. London : Routledge; Van Eck, C., 2007. Classical Rhetoric and the Visual Arts in Early Modern Europe. New York : Cambridge University; Van Eck, C., 2007. Classical Rhetoric and the Visual Arts in Early Modern Europe, New York : Cambridge University Press, y Van Eck, C., y Bussels, S., eds., 2011. Theatricality in Early Modern Art and Architecture, Malden : Wiley-Blackewll.
  7. In altre parole: «lo strumento che permette lo svolgersi di una cosa», che Aldo Rossi identificava con l'architettura (Rossi, 1981, p. 14).
  8. Il termine utilizzato da Choisy è "tableau", che si può tradurre come "scena" di un'opera teatrale: un'unità drammatica di tempo e luogo in un atto.
  9. Choisy se refiere a las "vistas de la primera impresión" y a la "búsqueda del primer efecto", como la constante preocupación de los arquitectos griegos".
  10. L'aggettivo utilizzato da Choisy è "pittoresco", che, nel momento e nel contesto in cui lo usa, si riferisce all'estetica del paesaggismo inglese. Dato il significato attuale del ter-mine ritengo opportuno sostituirlo per non tradire il senso del testo.
  11. Pubblicati in Choisy, 1899, p. 414, 415, 416 y 418.
  12. Pubblicati in Eisenstein, 1989, p. 120.
  13. Pubblicati in Lamprecht, 2004, p. 4.
  14. Pubblicati in Sack, 1992, p. 88.
  15. Secondo De Michelis 1991, p. 39, che pubblica anche il disegno.
  16. Ray parlava di «sconcerto» a proposito dell'effetto indotto dall'osservazione di palazzo Branconio dell'Aquila a Roma: Ray 1974, p. 67.

 

References:

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© dei testi Francisco Martínez Mindeguía

© della traduzione in italiano Laura Carlevaris

Questo articolo è stato pubblicato dallo stesso autore nella rivista Disegnare, nº 55, Roma, 2017, pp. 12-21.

 

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